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Quali sono le differenze tra RSPP e Manager HSE
La valutazione di un alto rischio come quello del Coronavirus ha forzato una rilettura dei profili professionali del RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) e del Manager HSE (Health, Safety and Environment).
Una prima sommaria analisi ha evidenziato una tendenza a voler vedere una certa presunta evoluzione, dalla figura professionale di Responsabile del Servizio di Prevenzione e protezione a quella di Manager HSE, in relazione al percorso formativo previsto dalla norma UNI, oltre all’importanza avvertita dalle aziende di una particolare esigenza di garantire un rispetto più stringente e rigoroso del miglioramento in ambito “Health, Safety and Environment”. La Norma UNI 11720 infatti, attiva dal 2018, ne ha tratteggiato i requisiti di conoscenza, abilità e competenza e rileggendo i due diversi profili professionali del Manager HSE: il primo – Manager HSE Operativo – svolge sostanzialmente la propria attività in una posizione organizzativa dotata di una piena autonomia decisionale relativamente alla gestione di aspetti operativi, limitata però agli aspetti strategici, definiti e decisi ad un livello più elevato dell’organizzazione; il secondo – Manager HSE Strategico – opera invece in una posizione organizzativa dotata di piena autonomia decisionale nelle scelte strategiche in ambito HSE e dei relativi obiettivi in materia di salute, sicurezza e ambiente, definite e individuate dal vertice dell’organizzazione.
In merito alle tematiche che il titolo vuole affrontare, e fermo restando il valore ed i vincoli delle norme in materia vigenti, è emerso che mentre la figura del Manager HSE, Operativo o Strategico, non è regolamentata dal quadro normativo, per il ruolo di carattere prettamente “gestionale” che svolge in riferimento alle tematiche HSE e del supporto alle tematiche salute, sicurezza e ambiente, nei limiti decisi e definiti ad un livello più elevato dell’organizzazione, la posizione di lavoro invece del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ( RSPP), interno o esterno, è una figura regolamentata dal D.Lgs. 81/2008, quindi obbligatoria, cosiddetta “cogente”, che lo inquadra il quel soggetto “consulente” fortemente inserito nell’ambito dell’organizzazione aziendale, come figura centrale della prevenzione, voluto dalla normativa nazionale ed europea, esercitando la propria attività per ridurre quanto possibile i rischi professionali ai quali sono esposti i lavoratori, e con compiti che spaziano dal giuridico, al tecnico, gestionale e relazionale, e in tal senso con un mirato percorso di formazione professionale, previsto dalla normativa. Da considerare che il Datore di Lavoro ha l’obbligo di nominare in prima persona il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (obbligo non delegabile, mentre questo non avviene per la nomina del Manager HSE), che altro non è se non quella figura principale per l’organizzazione e la gestione dell’applicazione di tutta la normativa nazionale vigente in materia, come anche la normativa internazionale applicabile o di riferimento, come nel caso in questione di un’azienda con più Stabilimenti all’estero.
Queste prime considerazioni hanno fatto emergere alcune peculiari differenze per entrambe le figure professionali – Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione o Manager HSE – in quanto, non esistendo un’azienda uguale ad un’altra, per le caratteristiche lavorative e per le dimensioni, le attività in materia di salute, sicurezza sul lavoro ed ambiente devono essere fortemente indirizzate alle attività industriali svolte, solidamente mirate alle specifiche esigenze per la gestione di tutti i rischi presenti nelle lavorazioni, considerando fra l’altro le responsabilità, soprattutto penali, del Datore di Lavoro in materia, per le scelte operative e gestionali delle misure di prevenzione e protezione da mettere in atto.
RSPP
Manager HSE
Purtuttavia le analogie richiamate non devono far sorgere confusioni in termini di ruolo e di compiti specifici che i due soggetti (isolatamente considerati) devono svolgere e da questo punto di vista i confini emergono invece, a parere di chi scrive, in maniera chiara – in termini di differenziazione – perché come da sempre precisato dalla giurisprudenza il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione è un consulente, mentre dai concetti e dalla terminologia presenti nella norma UNI, questi identificano il ruolo del Manager HSE quale il soggetto che svolge una professione di carattere prettamente gestionale e che, per poterla svolgere adeguatamente, deve possedere una conoscenza gestionale degli ambiti HSE riferita ad aspetti legali, normativi, tecnici, gestionali e relazionali” oltre a “caratteristiche psicoattitudinali riferite alla leadership e alla managerialità”.
E’ apparso quindi evidente dall’analisi finale che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, a differenza del Manager HSE, in primo luogo è un soggetto obbligato, come fatto cenno “cogente”, istituito dalla normativa, in secondo luogo il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione svolge un ruolo, come fatto cenno, di natura prettamente di carattere consulenziale, mentre il Manager HSE, svolge un ruolo di carattere gestionale.
Per queste sottili e peculiari differenze, il ruolo di “Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, è quindi quello più rispondente alle necessità del Datore di Lavoro e ai Dirigenti in materia di sicurezza sul lavoro, ruolo atto a svolgere soprattutto i compiti particolarmente complessi – per le evidenti responsabilità in materia – specificamente richiesti dall’art. 33 del D.Lgs. 81/2008 (non previsti nel profilo del Manager HSE), il quale dispone che il “Servizio di Prevenzione e Protezione” dai rischi professionali provvede: a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale; b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all’articolo 28, comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure; c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori; e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all’articolo 35; f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36”.
Da rilevare che per svolgere questi compiti (ex D.Lgs. 81/2008), e più in particolare quelli relativi alla valutazione di tutti i rischi presenti nelle lavorazioni industriali svolte (l’alto rischio Coronavirus è uno di questi), sono obbligatori sopralluoghi in tutti i luoghi di lavoro, da programmare ed effettuare, più in particolare, congiuntamente al Medico Competente per attivare l’eventuale Sorveglianza Sanitaria, ove necessaria per la presenza di rischi cosiddetti “tabellati” (nel caso specifico del Coronavirus “non tabellato”), coinvolgendo anche i Dirigenti, i Preposti ed i Lavoratori, per rilevare le eventuali “non conformità” rispetto ad un modello di organizzazione e gestione di impresa che vuole avere un buon “livello di scurezza”, la cosiddetta “Impresa Sicura”, assistendo più in particolare i Dirigenti ed i Preposti nel miglioramento continuo in materia, e aggiornando, di volta in volta, tutte le pratiche documentali richieste dal D.Lgs. 81/2008, dalle buone prassi, dalle linee guida e da tutte le altre normative in vigore, nazionale ed internazionali.
A fronte della documentazione e delle informazioni raccolte, a parere di chi scrive, queste dovrebbero suggerire in definitiva al Datore di Lavoro che il Manager HSE comunque può essere nominato dal Datore di Lavoro in qualità di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, provvedendo comunque a valutare il possesso di concrete e approfondite conoscenze, competenze ed esperienze nella specifica attività industriale da svolgere all’interno dell’azienda, ma soprattutto la valutazione del possesso di rilevanti capacità manageriali e organizzative per gestire il “Servizio di Prevenzione e Protezione” in aggiunta, come richiesto nel caso in questione da un’azienda di grandi dimensioni con una vocazione cosiddetta globale, una buona conoscenza della lingua inglese per la concreta possibilità di scambio di dati, informazioni ed esperienze con altri colleghi di realtà industriali a livello internazionale, generalmente chiamati “Occupational Safety Manager” rispetto al nostro “Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione”.
Comunque, come previsto dall’art.31comma 3) del D.Lgs. 81/2008, nulla toglie che, nell’ipotesi di utilizzo del Servizio di Prevenzione e Protezione interno o esterno, il Datore di Lavoro possa avvalersi di “consulenti” esterni alla azienda, in possesso delle conoscenze professionali necessarie, per integrare, ove occorra, l’azione di prevenzione e protezione del Servizio stesso. In quest’ottica, assume particolare rilevanza l’integrazione tra le aree della salute, della sicurezza sul lavoro e dell’ambiente dove la figura del Manager HSE esterno può pienamente integrare le azioni di prevenzione e protezione nello specifico settore di protezione ambientale. Da rilevare inoltre che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, sulla base delle dimensioni e della tipologia dei rischi presenti, deve essere affiancato da altri soggetti come gli Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione (ASPP) così come previsti dal D.Lgs. 81/2008, i quali devono essere in “numero sufficiente”, avere specifiche caratteristiche e capacità tecnico/professionali per poter svolgere questo ruolo e, ove l’azienda avesse rilevanti problematiche in materia ambientale, la scelta di un ASPP con qualifica di Manager HSE o di un Manager HSE esterno, è certamente la scelta più indicata per il supporto specialistico al Servizio di Prevenzione e Protezione.
Da segnalare infine che le ultime tendenze tendono sempre più ad indicare al Datore di Lavoro ed ai Dirigenti di non trascurare i “ COSTI DELLA NON SICUREZZA”, tramite proprio il supporto specialistico del “Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione”. Costi che, ove estrapolati, individuati e sommati puntualmente da una attenda analisi delle “perdite” nascoste nelle pieghe del bilancio aziendale, devono orientare le scelte e le decisioni del Datore di Lavoro e dei Dirigenti ad “investire” in materia di salute, sicurezza sul lavoro e ambiente dal semplice calcolo dei “Costi Totali”, come sommatoria dei Costi di Prevenzione, vale a dire quei costi che consentono un aumento del Livello di Sicurezza, dei Costi Diretti, quei costi che consentono di vedere le perdite accumulate dalle “non conformità” ed i Costi Assicurativi, pubblici e privati, cioè quei costi che consentono le oscillazioni, positive o negative, del Bonus/ Malus del Premi assicurativi stessi. Da evidenziare che il Bonu/Malus indica immediatamente il “livello di sicurezza” dell’azienda in atto, in positivo o in negativo, in funzione espressamente del numero degli infortuni, delle malattie professionali, degli infortuni mortali occorsi e delle misure di prevenzione e protezione adottate. Più in particolare i Premi Bonu/Malus INAIL sono strettamente legati a questi fenomeni e l’azienda con meno infortuni pagherà un tasso ridotto tra il 7 e il 30%, quella con più infortuni un tasso maggiorato tra il 5 e il 30%. Pertanto in presenza di un Bonus, il Datore di Lavoro può più facilmente prendere atto del lavoro svolto da parte di tutti i soggetti quali i Lavoratori, i Preposti ed i Dirigenti e più in particolare del lavoro svolto dai cosiddetti Enti di Staff quali il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione congiuntamente al Medico Competente, per esempio per le misure di prevenzione e protezione consigliate messe in atto, per la formazione effettuata ai lavoratori, soprattutto quella comportamentale, rispetto ai rischi presenti nelle lavorazioni, una più accurata manutenzione svolta per il mantenimento in sicurezza di impianti, macchine ed attrezzature, per il raddoppio della periodicità delle visite mediche periodiche effettuate per la riduzione dei rischi e per gli ambienti di lavoro rispondenti alla normativa, etc.
Da sottolineare, infine, per quanto riguarda il ruolo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione interno o esterno che, anche in assenza di capacità operative nell’ambito della struttura aziendale di appartenenza, questo non esclude che l’eventuale mancato rispetto delle norme da parte del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, in particolare la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni o la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché la mancata informazione e formazione dei lavoratori, possa integrare un’omissione cosiddetta “sensibile” tutte le volte in cui un infortunio, una malattia professionale o un incidente possa essere oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata nel processo iniziale di valutazione dei rischi.
Per altre ragioni, considerata la particolare configurazione concepita dal legislatore per il sistema antinfortunistico, con la espressa designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti, delle macchine, delle attrezzature e dei luoghi di lavoro e di interloquire con il Datore di Lavoro, con i Dirigenti ed i Preposti, deve, come si è detto, presumersi che, ove una situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative idonee a neutralizzarla. Questo per evidenziare che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione altro non è, come fatto già cenno, che quel consulente (alla stessa stregua del Consulente del Lavoro, del Consulente Tributario, del Consulente Legale, del Consulente Editoriale, etc.) al quale si deve ricorre per avere consigli o chiarimenti su materia inerente alla sua professione.
C’è da aggiungere ulteriormente, per una più puntuale informazione, che alcune modifiche normative hanno e stanno sempre più comportando, in via prettamente interpretativa, una sostanziale revisione della funzione del Servizio di Prevenzione e Protezione, in quanto, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del Datore di Lavoro, il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione anche se privo di poteri decisionali e di spesa, questo non toglie che possa essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, di una malattia professionale, di un incidente o di un infortuno mortale (vedi sentenza dell’incendio della Tyhssenkrupp o della camera iperbarica dell’Istituto Galeazzi) ogni qual volta che questi fenomeni siano oggettivamente riconducibili ad una situazione pericolosa per i quali il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione avrebbe avuto l’obbligo di valutare il rischio e segnalare al Datore di lavoro e ai Dirigenti le “non conformità”, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione effettuata avrebbe fatto seguito l’adozione delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni rischiose riscontrate.
In conclusione – il punto più rilevante che non emerge dalle varie analisi fino ad ora elaborate dai vari “addetti ai lavori”, è quello della necessità di valutare bene, non tanto la scelta di primo acchito del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, ma prima di tutto la più rispondente organizzazione in materia di salute, sicurezza sul lavoro ed ambiente, rispetto alle caratteristiche e alla dimensione, e quindi a posteriori ed in finale, una scelta “mirata” del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione da parte del Datore di Lavoro, proprio per l’aspetto “cogente” che la posizione di lavoro richiede che lo obbliga ad accertarsi delle richieste e specifiche conoscenze, esperienze, competenze, ma anche del possesso di capacità organizzative e gestionali per espletare questo delicato lavoro che richiede per dirigere il Servizio di Prevenzione e Protezione.
Crediti: puntosicuro
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